Giocando si impara
Quello che riscontro nella mia vita quotidiana di insegnante di equitazione per bambini, è a volte uno scenario desolante nel quale la maggior parte degli allievi, non è assolutamente avezza al gioco vero, alle relazioni sociali e men che meno alla relazione con il pony. Se però su quest'ultimo aspetto possiamo glissare, essendo mio preciso compito insegnar loro come instaurare un rapporto proficuo con gli animali, direi che non è il caso di far orecchie da mercante sugli altri due.
Sembra un discorso da vecchi reazionari imbolsiti ma di fatto, l'ottanta per cento dei ragazzi, pur conoscendo fin dalla più tenera infanzia perfettamente play station, i-phone e laptop non è assolutamente in grado di prendere al volo una palla, di saltare una corda, così come non è in grado di decidere chi tra i due contendenti debba per primo salire sul pony.
Aggiungo poi che la maggior parte delle volte, a tutto questo, assistono a bordo campo invadenti genitori e nonni che, convinti di far del bene, si inseriscono da lontano delle dispute per la precenza sul pony, che elargiscono suggerimenti fuori tempo massimo su assetto e strategie di gioco... insomma che non lasciano alcuno spazio al piccolo allievo di fare la sua esperienza, nè al suo insegnante di svolgere correttamente il suo lavoro (deprivandolo di fatto dell'autorità necessaria al corretto comporsi dei ruoli).
Ma cosa c'entra tutto questo con il Pony Games?
La mia in effetti non è una sterile polemica in perfetto stile classico (O tempora! O mores! dicevano già gli antichi) ma è piuttosto un punto di partenza per spiegare un altro importantissimo valore aggiunto del Pony Games, già citato per sommi capi nell'articolo introduttivo alla disciplina (per leggerlo clicca QUI).
Attraverso la metodica di insegnamento messa a punto da Jacques Cavé (fondatore della disciplina Pony Games in Italia), utilizzando il Pony Games, andiamo a ricostruire le dinamiche del gioco di strada che ormai, per mutate condizioni sociologiche ed economiche, è del tutto sparito nella vita dei nostri figli.
A questo punto più di qualcuno potrebbe chiedermi come mai sia così importante giocare in strada, dove tra l'altro i pericoli sono sempre in agguato. La questione è veramente semplice: attraverso il gioco non regolato dagli adulti (e in questa accezione parlo di gioco di strada), i bambini imparano innanzi tutto l'empatia e la socialità, doti emotive indispensabili per una vita in comune soddisfacente e felice oltre che per diventare buoni cavalieri. Mi permetto infatti di ricordare che l'equitazione è innanzi tutto relazione, comunicazione non verbale tra uomo e animale e che niente è più lontano da essa, quando sia fatta nel modo migliore, dello sfruttamento coatto di un essere così gentile e nobile come il cavallo.
Il gioco è il modo migliore per apprendere le abilità sociali in quanto esso è volontario: nessuno obbliga nessun'altro a giocare, al massimo uno dei componenti può essere persuaso a farlo tramite una serie di contrattazioni e compromessi. Se ad esempio Lucia è una prepotente che vuole decidere da sola tutte le regole ordinando a tutti cosa devono fare, i compagni la lasceranno sola e andranno a giocare da un'altra parte. Questo per Lucia sarà un incentivo per essere più attenta ai bisogni degli altri la prossima volta, ma anche i compagni che se ne sono andati hanno imparato qualcosa: se vorranno giocare con Lucia (della quale per esempio apprezzano alcune qualità), dovranno essere più chiari nell'esprimere i loro desideri in modo da non metterla di nuovo nella condizione di restare sola.
Nel gioco di gruppo per divertirsi bisogna farsi valere senza essere prepotenti e questo, vale anche nella vita sociale e, nello specifico, nell'equitazione.
Osservate per esempio un qualsiasi gruppo di bambini che gioca a fare la famiglia: passano più tempo a stabilire i dettagli che a giocare. Tutto deve essere contrattato, da chi fa il figlio, il padre o la madre, da chi potrà usare certi oggetti fino a come si svulupperà la storia. La regola aurea del gioco di gruppo non è non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, ma in positivo "fai agli altri quello che vorrebbero tu facessi loro".
Il mio dunque è insieme un monito e un auspicio: impariamo come adulti e insegnanti a usare il più possibile un linguaggio positivo assertivo, lasciamo che i bambini sperimentino se stessi, il loro corpo, le loro abilità relazionali restituendogli quel tempo del gioco che hanno perduto magari all'interno di strutture sicure come di fatto è il Pony Club.
Cominciamo a comprendere che un istruttore di equitazione che non ricorda in continuazione all'allievo di 6 anni che per salire "non è quello il piede giusto ma l'altro!" non è un istruttore negligente, è un istruttore che ha scelto la via dell'apprendimento attivo, consapevole che dopo alcune salite difficoltose il bambino imparerà da solo a prediligere il piede adeguato al lato del pony....
Il contenuto che avete letto trae ispirazione da un articolo di Peter Gray, psicologo evoluzionista del Regno Unito.
L'articolo dal titolo "Lasciamoli giocare" è apparso su Internazionale del 20 dicembre 2013, pp. 49.
In foto Sara e Balù.